La generazione del deserto
Parodia: ‘Istituzione, ente, azione o persona che costituisce una imitazione lontana di ciò che dovrebbe realmente essere, che manca di serietà e risulta quasi una caricatura.’*0
Sentendo parlare di parodie pensiamo magari all’ultimo film comico che abbiamo visto o ad un evento che nel suo svolgersi ha rasentato il ridicolo. Certo è che il termine si presta alle più svariate declinazioni, design compreso.
Ho avuto modo di leggere ultimamente un’interessante raccolta di brani scritti dal De Fusco, ‘Parodie del design - scritti critici e polemici’, dove il testo non tradisce certo il titolo. Il professore affronta temi legati ai prodotti industriali, come l’usa e getta o il concetto di bellezza, e scandisce ogni capitolo con riflessioni personali, spesso anche divertenti. Senza cadere in uno storicismo omologato e ridondante, la sua è una voce ferma e sapiente, capace di stuzzicare con ironia la coscienza critica del lettore. Credo che quella stessa (affilata) ironia abbia inciso con più forza su un argomento in particolare, ovvero il design radicale.
Nel capitolo ‘Il sonno della ragione’ l’autore si riferisce ad alcuni progettisti, cosiddetti ‘sognatori irrazionali’, insieme ad alcune loro creazioni, a partire da Arad e la libreria Book Worm, Pesce e la sedia Broadway 543, i Mobili Grigi di Sottsass o gli Animali Domestici di Branzi, fino a Colombo ai fratelli Campana a De Lucchi, tutte ‘opere generate dal sonno della ragione’ per l’appunto.
Riguardo Sottsass scrive:
‘Rallegriamoci invece con alcune opere del maggiore sognatore irrazionale: il maestro del design Ettore Sottsass jr, rigoroso progettista di macchine Olivetti e spregiudicato protagonista di cento altre avventure. A essere precisi, prima di passare al design della neoavanguardia radicale, Sottsass disegnò dei mobili “normali” per Poltronova […]. Ma i modelli che più restano impressi nella mente e nelle pubblicazioni si chiamano Carlton e Casablanca, entrambi disegnati nel 1981 per Memphis. L’uno, forse libreria con cassetti composta da pannelli colorati che dal centro si aprono rigidamente verso i lati; l’altro, forse insieme di armadietti, cassettini con frontale in laminato e ancora ispide ali sui lati; qualcuno ha parlato di una loro ispirazione totemica, dissacrata dall’ironia.’*1
Vorrei allora usare come pretesto la sua critica per lanciare dei semplici input al riguardo, senza spingermi in terreni troppo complessi e macchinosi da trattare in questa sede.
Ora, è nota la posizione prevalentemente funzionalista dello storico: addirittura metterebbe in salotto la macchina a vapore di Watt o comprerebbe la Ford ‘Modello T’ a costo di vendere casa propria. Ed è ovvio che tra le suddette macchine ed un vaso di Sottsass passa un buon numero di abissi, lontani non soltanto nel tempo o nello spazio. Forse questo giustifica il fatto che abbia quasi totalmente sorvolato sui radicali nella ‘Storia del design’ *2 da lui scritta qualche anno fa.
Per comprenderne meglio le critiche basterebbe già solo pensare al fatto che Alchimia sia stata concepita come outsider al mercato e Memphis come provocazione emozionale (e a volte a-funzionale). Caratteristiche non proprio aderenti al design ‘tradizionale’; come non tradizionale è l’uso rivisitato che fece dell’addizione metamorfica pop + kitsch + banale.
In ogni caso, gli arredi e le sperimentazioni nate dai due gruppi (e quindi gli autori stessi) rifuggono di continuo ogni semplicistica ed aberrante etichetta, specialmente quella del postmodernismo; non intendo qui negare che quello sia stato il blocco di partenza, ma anzi credo che nella corsa agli armamenti semiotici abbiano superato tutti gli altri finendo fuori dallo stadio.
Breve ma esemplare è la descrizione di Deyan Sudjic a proposito:
‘Sottsass creò una serie di oggetti che sembravano prendersi amabilmente gioco delle certezze moderniste, e che minavano intenzionalmente le idee di ordine e coerenza: scaffali troppo inclinati per reggere dei libri, televisori con una finitura rosa da bebè che sembravano giocattoli. Il lavoro di Sottsass era basato su un’eclatante esplorazione delle ceneri della modernità, che negli anni Settanta era ormai penetrata nelle anonime periferie italiane, applicandosi, in forme impallidite e volgarizzate, a gelaterie cromate e hotel turistici a tre stelle. Sottsass evocò queste atmosfere nelle sue creazioni degli anni Ottanta, producendo una collisione esplosiva tra design sofisticato e cultura popolare. Con i suoi colori, i suoi modelli decorativi e le sue forme intenzionalmente frammentate riuscì a creare oggetti di una loro strana forza, che sembravano appartenere a un passato indeterminato, o a un futuro ancora oscuro.’*2
L’intera produzione radicale non si proponeva solo di offrire modelli alternativi di comportamento (domestico ed urbano) scavalcando sarcasticamente le abitudini correnti, e non mirava neanche soltanto alla demolizione dei mostri sacri del recente passato (come troppo facilmente viene ricordato nei testi), poichè alla distruzione segue sempre ricostruzione.
Cercava la poesia del caos in fondo al torpore della quotidianità occidentale, cercava di risvegliare nell’uomo la curiosità e la meraviglia che aveva da bambino per ciò che era misterioso e lontano. Uno stupore che ha perso crescendo, mentre affoga nella realtà che gli è stata imposta dall’alto. E’ la Biancaneve che fuggendo dal mondo si perde nel bosco e trova qualcosa che non avrebbe mai immaginato potesse esistere.
Qualche passo più avanti De Fusco sembra tornare fiducioso e spiega come il maestro si sia successivamente ‘curato’ e svegliato dal sogno, citando parole assai significative dello stesso Sottsass ad una cena con Magistretti, Mari e Mendini:
‘Quando disegno non cerco di salvare il mondo, cerco di salvare me stesso. Faccio il mio disegnino, lo metto sul tavolo e poi quello che succede, succede. Non sono un rivoluzionario né un missionario. Memphis mi è venuto in mente quando andavo in una latteria alla mattina, dove due vecchi vendevano biscotti e latte. Tutto era fatto di laminato ed era così pieno di innocenza e di grazia che ho pensato si potesse fare poesia anche con il laminato, non solo con il noce.’
Non è difficile intravedere nel materiale la profonda metafora di un’entità che da sempre subiva indifferenza, ed ora portata a nuova vita, sotto una nuova luce. Un linguaggio sopito che si offre a consolidate tipologie per una nuova scrittura semantica.
La mia domanda quindi è:
emozionare può essere considerata una funzione? Quantomeno al pari della sua utilità pratica?
Può esserlo suscitare qualcosa in noi ad un unico sguardo?
Non voglio assolutamente ridurre la questione a banalità, ma anzi spero di ricondurla a discussioni più profonde. Qui mi limiterò a riferire parole dello stesso Sottsass che potrebbero essere assunte come una parziale risposta:
‘Con Memphis […] abbiamo provocato la cicatrice più forte, quella che ha creato i maggiori sussulti in giro, è quella di dire che la lettura dell’esistenza è sensoriale e non mentale. […] Quello che importava a me, per lo meno nelle mie intenzioni, era di dire che gli oggetti non si misurano più con le menti, si misurano col cazzo, con lo stomaco, con la lingua, con gli occhi, con le orecchie, col tatto. E quindi abbiamo aperto un’immensa possibilità di operazioni su questo piano, anche se questo non l’ha capito quasi nessuno purtroppo, that’s not my fault.’*3
Forse il De Fusco fa parte di questa categoria, o forse no.
Io sarò sempre convinto che l’enorme potenziale offerto dagli oggetti non si esaurisca mai nella sola pura funzione, ma oltrepassi i confini della produzione, del mercato e di ogni tecnicismo estetico, per inserirsi nelle pieghe dolci e violente delle nostre vite e delle nostre anime. Sarò sempre convinto che a volte è necessario oltrepassare i limiti, o crearne di nuovi, per sapere che c’è molto di più al di là di questi. E sarò sempre convinto che ogni dieci, cento passi che percorriamo lungo la nostra strada dritta e sicura arriveranno zone buie, ed è allora che la generazione del deserto ed i suoi folli condannati alla trasgressione*3 avanti a tutti e senza paura dell’ignoto illumineranno il cammino.
E ci faranno scoprire le meravigliose curve che quella strada compie.
Aldo Deli
*0 Enciclopedia Treccani, vocabolario online, definizione 2
*1 R. De Fusco, Parodie del design – Scritti critici e polemici, Umberto Allemandi & C., 2008, pp. 27-28
*2 R. De Fusco, Storia del design, Editori Laterza, Roma-Bari, prima edizione 1985.
*3 D. Sudjic, Il linguaggio delle cose, trad. italiana, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, pag. 61
*4 F. Novembre, A Sud di Memphis, Idea Books, Milano, 1995, pp. 5-6
*3 Ibidem.
‘Il maggiore sognatore irrazionale’, Ettore Sottsass jr.
©ettoresottsass