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Seduta inaspettata

 

Una corsa frenetica tra sole, piedi doloranti e padiglioni che giocano a nascondino, questa è stata la mia biennale da studentessa reporter. Muovendomi per Venezia con un cartellino appuntato alla camicia più importante di me. Tanto importante da attirare l’attenzione senza che me ne accorgessi, ricordandomi con immenso orgoglio che per quattro giorni Domus ero anch’io. Con aria professionale, mi sono avventurata munita di classico taccuino nero, inglese timido e una compatta di qualche anno fa, forse non perfettamente equipaggiata, ma carica. Pronta a scoprire cosa si intende in architettura per “reporting from the front”. 

Con mia sorpresa scopro che le proposte non sono così tante, un tema incredibilmente attuale risolto con un censimento di progetti riusciti, progetti incredibili ma passati. Mi muovo freneticamente per l’Arsenale cercando qualcuno che possa raccontarmi qualcosa e sto per saltare un’istallazione che non mi sembra niente di particolare, quando mi lascio prendere da questa piccola straordinaria storia. Scopro che quel semplicissimo schermo e la seduta che ha di fronte, raccontano la storia dell’architetto Teresa Moller che con il suo Estudio del Paisaje in Cile trova una cava di marmo i cui pezzi, tagliati male o rovinati nella lavorazione vengono scartati e abbandonati. Le misure che non rispettano lo standard non sono accettate dal commercio, buttando denaro in termini di manodopera e pregiatezza del materiale. Un pezzo di marmo scheggiato inserito in un museo è considerato un’opera d’arte, nella cava è solo un errore della macchina. E’ da qui che nasce “Catch the Landscape” e l’idea di esporre gli “scarti” alla biennale di Venezia, esporre non solo tradizionalmente all’interno, ma in ogni spazio aperto dell’arsenale. E’ cosi che il marmo in questi mesi prende il ruolo di seduta ufficiale della biennale: nel prato, riflessa nell’acqua, protetta da una copertura; la materia diventa protagonista dello spazio. Mi guardo intorno e la ritrovo ovunque, è l’istallazione più presente, diffusa e funzionale e proprio per questo probabilmente la meno notata. L’idea della progettista è di far nascere da qui un documentario di sensibilizzazione al tema per le autorità cilene e credo che le “panchine” di Venezia 2016 faranno parlare di se ancora per un po’. Raccontano una storia, semplice e forte allo stesso tempo, il tipo di storia che cercavo e in un attimo capisco il vero spirito di questa biennale. Non è solo un censimento, è volutamente semplice, essenziale e senza troppo effetto-stupore. Mette al centro un tema della progettazione contemporanea diventato orami classico, ma mai come adesso fisicamente urgente, che rischia spesso di essere trattato più per dovere che per interesse sociale. Una biennale di architettura non convenzionale, che toglie importanza al costruito per trasformarsi semplicemente nella biennale delle persone. 

CHIARA SILENO –

 

©photo Chiara Sileno

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