“Vorrei che fossi bella come..”
by MAURA COSTANTINO
“Vorrei che fossi bella come Pescara” leggo su un tendone, scritto in viola.
Potrebbe essere la perfetta definizione di bellezza, essere bella come una città, con la sua variopinta morfologia. Bellezza che molte volte sta in un elemento dissonante, come un naso imperfetto o un neo insolito sul viso, ma l’istinto ci porta a scegliere più facilmente l’uguale e a creare il simile, l’omogeneo, l’ordine, che però a volte blocca la meno monotona spontaneità.
L’artista Helen Eunhwa Oha nelle sue illustrazioni non ritrae l'usuale, ma mette in risalto la “diversità” di ogni volto.
Esattamente come la ricerca dell’artista nella folla, la bellezza in una città potrebbe trovarsi proprio nel saper gestire la diversità, nella sua immensa e articolata topografia, che non è cosa semplice e che contrasta con l’omologazione della società odierna, ormai forse insita in ogni progettista.
Per gestirla, innanzitutto bisogna conoscerla, capirla e non pensare che ciò che è convenzionale sia necessariamente bello. È necessario anche essere dei buoni osservatori, pensare e osservare con lo sguardo dei “flâneurs”, gli “osservatori sognanti” di Victor Hugo, vagabondando senza meta precisa e usando il proprio tempo senza profitto, soffermandosi sui particolari, mischiandosi alla folla che abita e modella a suo piacimento ogni cosa.
La mappa della nostra “Cité intérieure” potrebbe essere proprio il paesaggio urbano, il labirinto in noi stessi, quello del nostro pensiero, fatto di strade sinuose o rettilinee, “nascondigli, punti attraenti o che bisogna temere, edifici dell’orgoglio e tombe della sofferenza, il bene e il male, il vero e falso, il bello e l’orribile”, contrasti presenti in ogni uomo e in ogni città, che rendono giustizia alla propria bellezza.